La strada per raggiungere l’obiettivo della trasparenza degli obblighi informativi nei confronti dei lavoratori appare sempre meno lineare, anche a seguito dei recenti chiarimenti ministeriali…
Le ragioni di questa incertezza probabilmente sono riconducibili al periodo in cui il Dlgs n. 104/2022, di recepimento della Direttiva Ue 2019/1152, è entrato in vigore, che ha coinciso da un lato con il periodo feriale (13 agosto 2022) e dall’altro con un periodo di vacatio politica, a solo un mese e mezzo dalle nuove elezioni.
A questo si aggiunga la consueta difficoltà di tradurre correttamente nella nostra lingua i principi comunitari che nella rispettiva lingua originale hanno sicuramente un significato più immediato e calzante di quello che la nostra immensa varietà linguistica consente di attribuirgli.
Ecco perché le aziende ed i consulenti erano davvero bisognosi di indicazioni amministrative, che consentissero di tradurre le informazioni sulle condizioni trasparenti e prevedibili di lavoro in corrette, trasparenti e concrete clausole da inserire nei contratti di lavoro.
Le precisazioni pervenute da parte dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro prima (circolare n. 4 del 10 agosto 2022) e da parte del Ministero del Lavoro dopo (circolare n. 19 del 20 settembre 2022) non sono state molto illuminanti nel fare luce sui dubbi interpretativi sulle nuove informazioni che dallo scorso agosto devono essere fornite ai lavoratori.
Leggendo in modo congiunto i due provvedimenti amministrativi, ciò che emerge è che nel contratto di lavoro dovrebbero essere contenute le informazioni di base ed essenziali, corredate poi delle informazioni di dettaglio, per le quali occorre fare riferimento alle norme di legge (espressamente richiamate dall’ultima circolare del Ministero) ed a quelle contrattuali (contratti collettivi). Queste norme, a cui il Dlgs n. 104/22 non faceva rinvio (nonostante la direttiva Ue lo consentisse), precisa il Ministero, non devono essere solo richiamate nel contratto, ma devono essere rese disponibili ai lavoratori ed il datore/committente deve altresì acquisire e conservare per 5 anni dalla cessazione la prova dell’avvenuta ricezione di tali informazioni.
Nell’ultimo provvedimento il Ministero richiama più volte il principio della “concretezza” a cui le informazioni dovrebbero ispirarsi, senza però esplicitarne il significato. Accessibile, fruibile, comprensibile, utile? Posto che non è propriamente chiara l’indicazione, quello che il datore di lavoro può e deve fare è cercare di raccogliere tutte queste informazioni nel modo più semplice ed organico possibile, così da mettere il lavoratore nella condizione di poter conoscere le “principali” condizioni e tutele applicabili al proprio rapporto di lavoro.
Queste informazioni di dettaglio potrebbero essere fornite, ad esempio, integrando il contratto con un piccolo compendio che riunisca le norme che disciplinano alcuni degli istituti da comunicare ai sensi del rinnovato articolo 1 del dlgs n. 152/1997, quali lo straordinario (non solo le percentuali di maggiorazione, ma anche le regole applicative di fonte contrattuale), la formazione obbligatoria (esclusa quella professionale o per l’acquisizione di competenze, a meno che non sia obbligatoria per legge e contratto), il preavviso (termini e modalità di esercizio), i congedi retribuiti. Su quest’ultimo elemento si è soffermato il Ministero nella circolare n. 19/22, in cui attraverso un’interpretazione letterale, ha ricondotto questo obbligo ai soli “congedi” definiti come tali dalla legge, quali a titolo esemplificativo, il congedo di maternità e paternità, il congedo parentale, il congedo disabili, il congedo per i lavoratori invalidi civili, quello per le donne vittime di violenze di genere…. Si potrebbe aggiungere a questa lista il congedo matrimoniale, o altre forme di congedo retribuito previste dai contratti collettivi.
Secondo la recente interpretazione ministeriale il datore dovrebbe essere obbligato a fornire informazioni su tutti i congedi retribuiti (definiti come tali dalla legge o dai contratti collettivi), ivi compresi quelli la cui fruizione dipende dalle specifiche condizioni soggettive del lavoratore (qualora dovesse sposarsi, qualora dovesse avere dei figli, qualora dovesse diventare invalido). Il Ministero non cita invece i permessi (Rol ed ex festività) come istituti ricadenti nell’obbligo informativo, ma ad abundantiam e per essere davvero trasparenti, potrebbe essere opportuno inserirli.
Con riferimento alle informazioni sul trattamento economico, il Ministero precisa che devono essere comunicati anche quelle riconducibili al cd Welfare Aziendale, laddove le relative prestazioni abbiano “una natura retributiva” cioè siano previste come uno specifico obbligo contrattuale (da ccnl o da contratto collettivo di secondo livello).
Laddove invece tali erogazioni abbiano una natura “liberale” cioè siano frutto di un’iniziativa unilaterale aziendale, forse potrebbero essere ricomprese all’interno delle altre forme di protezione di sicurezza sociale di cui alla lettera r) dell’art. 1 co. del Dlgs n. 152/97 offerte dall’azienda attraverso la propria piattaforma Welfare (es. assistenza sanitaria, polizze Long Term Care, altre forme di assistenza per figli o per familiari anziani etc).
In alternativa al compendio cartaceo o elettronico che costituisce parte integrante del contratto di lavoro, le informazioni di dettaglio potrebbero essere messe a disposizione attraverso la rete intranet aziendale, dove pubblicare le norme di legge (es. estratto del Testo Unico della maternità), l’intero o un estratto del ccnl e dei contratti collettivi applicati, eventuali regolamenti aziendali (ad esempio in materia di orario di lavoro). Ma senza dimenticare mai di acquisire in qualche modo la prova che il lavoratore abbia effettivamente acceduto alla rete per prelevare le informazioni sulle proprie condizioni di lavoro (ad esempio accertandosi che abbia fatto un primo accesso).
E come giustamente ha scritto un autorevole Direttore, non dimentichiamo che queste informazioni dovrebbero essere rese disponibili in modo trasparente e gratuito anche dal Ministero del Lavoro all’interno del proprio sito, posto che è lo stesso comma 6 dell’art. 4 del Dlgs n. 104/22 a prescriverlo.
Affinché i datori di lavoro tutelino in modo effettivo e concreto i diritti dei propri lavoratori, rispettino tutti i nuovi e vecchi obblighi imposti dalle complesse normative (italiane e comunitarie), necessitano di una guida da parte dell’Amministrazione (Stato ed Enti territoriali, legislatori, governo….) per non perdersi nei meandri delle interpretazioni che piovono da ogni parte.
Per fornire un’informazione trasparente le aziende hanno cioè bisogno di indicazioni il più possibili certe e trasparenti e se necessita anche un po’ coraggiose……